Dietrich, 20 anni fa si spense voce Lili Marlene

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  1. Thëo™
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    Tutto è meticolosamente annotato e nulla - o quasi - è certo, nella vita e nella morte della più famosa attrice del cinema tedesco, incoronata dea e diva dal cinema di Hollywood che si spense esattamente vent'anni fa, la sera del 6 maggio 1992 nella sua casa di Parigi. Finiva in quel momento la storia di Marie Magdalene Dietrich von Lasch (SCHEDA) , nata a Shoeneberg, sobborgo berlinese, il 27 dicembre del 1901, passata alla leggenda come Marlene Dietrich, la voce di "Lilì Marlene", canzone che fu il suo canto di guerra e la sua più delicata dedica all'amatissima patria tedesca. Oggi il suo mito è inciso nella topografia della moderna Berlino, che le ha intestato la piazza più simbolica, quella proprio a cavallo del Muro, là dove ogni anno si svolgono i riti del festival del cinema, la Berlinale.

    Ma quando Marlene vi tornò negli anni '60 con il suo spettacolo di canzoni e monologhi che altrove aveva attirato folle da stadio, i suoi concittadini la accolsero al grido sprezzante di ''Marlene Go Home" e, anche dopo la morte, si rifiutarono a lungo di dedicarle anche una piccola viuzza nel borgo natale. Il suo fascino fu costruito sull'ambiguità sessuale e la costellazione di amanti d'ambo i sessi che ostentava come prede di caccia: tra i più celebri nel campo maschile (il codice Hays imponeva di tacere sulle relazioni omosessuali), Joseph von Sternberg, Gary Cooper, Erich Maria Remarque, Jean Gabin, Burt Lancaster, Orson Welles. I suoi ruoli furono quasi sempre legati alla musica e al canto, che aveva praticati fin da bimba pur dovendo poi smettere gli studi di violino per una dolorosa tendinite. Adorava il lusso, la sfrenatezza, la bella vita e in America si sentì amata e accolta fino al punto di prendere la cittadinanza già nel 1937 pur conservando fino all'ultimo un amore travolgente per la "sua" Germania che non era certo quella dei gerarchi nazisti, rigettati sempre con sdegno benché Hitler si dichiarasse pronto a fare follie per lei e le offrisse il ruolo di star del regime anche quando Marlene aveva già dato prova di opinioni totalmente opposte. "Se solo avessi accettato di farmi corteggiare da lui - disse una volta - magari sarei riuscita a far cambiare qualche idea anche ad Adolf".

    Certo fu una madre difficile ma nella biografia che le dedicò la figlia (che ne seguì le orme col nome di Maria Riva e debuttò sullo stesso set della madre in 'Shanghai Express' del 1932) emergono tratti di umanità e dolcezza celati per un dolore profondo. Curiosa, intelligente, colta, calcò le scene già dagli anni '20, sotto la guida di Max Reinhardt, scopri' il cinema, sposò l'aiuto regista Rudolf Seiber da cui ebbe l'unica figlia, Maria Elizabeth. Nel 1929 strappò il primo ruolo da protagonista in Enigma di Curtis Bernhardt e nello stesso anno fu chiamata da von Sternberg per vestire le calze a rete e il cappello a cilindro della ballerina e femme fatale Lola Lola ne L'angelo azzurro. Fu un colpo di fulmine per il pubblico mondiale, le ombre della notte dei Lunghi Coltelli e del nazismo arrembante si allungavano su Berlino, ma la diva era già salpata vero la gloria americana. A chiamarla era stato von Sternberg, ormai suo amante ufficiale, che le procurò un contratto di sette anni con la Paramount e la legò a sé per i maggiori successi da Morocco a Capriccio spagnolo (1935). Inflessibile con se e con gli altri, consapevole pigmalione di se stessa, Dietrich plasmò il suo personaggio. Così fu sofisticata Contessa Alessandra per Jacques Feyder ('37) Angelo (caduto) per Lubitsch ('37), seduttrice romantica al fianco di John Wayne (La taverna dei sette peccati, 1940), Ammaliatrice per René Clair (1941), maliarda d'alto bordo per Billy Wilder (Scandalo internazionale, 1948).

    Intanto era andata al fronte a far piangere i soldati tedeschi e quelli americani con la sua doppia versione di Lilì Marlene. Inseguita dalla paura di invecchiare, si mostrò grande attrice per Hitchcock (Paura in palcoscenico, 1950), rilanciò Fritz Lang (lo straordinario western noir Rancho Notorius del 1952), si concesse alla diabolica immagine costruita per lei da Wilder in Testimone d'accusa, 1957 e celebrò un monumento personale ne L'infernale Quinlan (1958) di Orson Welles che scrisse per lei il ruolo di Tanya innamorandosi all'istante della donna e del mito. Dopo l'ultimo successo in Vincitori e vinti di Stanley Kramer (David di Donatello nel 1962) si ritirò praticamente dal cinema, proseguendo invece nei tour musicali che le davano da vivere e che abbandonò solo per una rovinosa caduta che la costrinse all'infermità permanente. Maximilian Schell la ricoprì d'oro per il documentario Marlene del 1984 ma la diva pretese di non apparire mai e la sua ultima, dolente immagine pubblica resta affidata alla cinepresa di David Hemmings che la diresse in "Gigolò" (1978) a fianco di David Bowie. Nella sua casa parigina conservava oltre 300.000 cimeli della sua carriera e la sua morte, ufficialmente per arresto cardiaco, resta nel mistero come la sua vera nascita (sosteneva di essere del 1904, ma forse si calava gli anni fin da giovane).

    Fonte: Ansa
     
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0 replies since 3/5/2012, 16:33   4 views
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